Il castello di Manfredonia ospita un patrimonio archeologico di straordinario valore ed interesse: le stele daunie. Si tratta di lapidi funerarie, rinvenute nelle campagne circostanti, risalenti al VII-VI secolo a.C., variamente scolpite ed incise, che ci tramandano il senso di mistero e il bisogno di trascendenza che da sempre accompagna l’umana esistenza. Sin dall’età antica, quindi, dal territorio sipontino si sono irradiate espressioni di civiltà e di senso religioso per l’intera Daunia. Sbocco al mare della misteriosa Arpi, fiorente emporio che portò i Romani a dedurla in colonia, Siponto, ha svolto, come altre città portuali di collegamento con l’Oriente, un ruolo decisivo per la cristianizzazione delle regioni intorno ad essa orbitanti. E’ sede di antica diocesi; la tradizione attribuisce a San Pietro la consacrazione di San Giustino, suo primo vescovo. Annovera tra i suoi pastori San Lorenzo Maiorano, parente dell’imperatore d’Oriente Zenone e protagonista del racconto sulle apparizioni dell’Arcangelo Michele. Nella alterne vicende che hanno visto il Meridione dominato e conteso da Goti, Bizantini, Longobardi, Arabi, Normanni, con tentativi fallimentari di affermazione di autonomia delle popolazioni autoctone, Siponto ha avuto un posto di rilievo, subendo spesso distruzioni, ma sempre risollevandosi, così come sempre si è ripresa dalle devastazioni prodotte dalle calamità naturali. La sua fine arrivò sotto gli Svevi, ma per rinascere a qualche chilometro di distanza e assumere il nome di Manfredonia derivante da Manfredi, il biondo figlio di Federico II. Alle vicende della città di Siponto sono sempre collegate quelle della diocesi, la quale dal VII al X secolo fu annessa a quella di Benevento. Dell’antica Siponto, a parte qualche rudere, straordinariamente e quasi ad evidenziare una sua vocazione, è rimasto in piedi un monumento che, tra l’altro, ha un valore artistico notevole: il santuario di S. Maria Maggiore, cattedrale e, quindi, centro ufficiale della diocesi sipontina. Posto sulla via sacra dei pellegrini, il santuario della Madonna sipontina sorge attiguo ai resti di una basilica paleocristiana risalente ai tempi del vescovo Lorenzo. Le tradizioni locali anticipano la sua costruzione a S. Giustino, e perciò al I secolo d.C.. Molto dibattuta, tra gli studiosi, la questione circa l’inglobamento nella struttura di un preesistente battistero e di altri edifici, ornati di mosaici, voluti dal vescovo Lorenzo, che hanno fatto meritare a Siponto l’appellativo di Ravenna del Sud. L’edificio, di singolare pianta quadrata, secondo gli studiosi fu eretto tra la fine del secolo XI e l’inizio del XII, quando era vescovo Leone e si lega alle lunghe battaglie sostenute per affrancare la diocesi dalla dipendenza beneventana. La sua esistenza già nel 1039 è testimoniata da un’epigrafe che documenta la presenza di un ambone monumentale, opera dello scultore Acceptus, che ha legato il suo nome a vari capolavori dell’epoca come la cattedra di Canosa ed il pulpito di Monte Sant’Angelo, che, insieme ad altre dotazioni, sottolinea il ritrovato prestigio dell’antica diocesi pugliese. Il tempio nel 1117 fu consacrato da papa Pasquale II; nel 1049 e nel 1067 era stata sede di sinodi locali celebrati rispettivamente dai papi Leone IX e da Alessandro II. Tra il 1223 e il 1250, a causa di terremoti, la città subì gravi danni; l’interramento del porto chiuse definitivamente la vicenda di Siponto. Nel 1263 Manfredi prese la decisione di costruire una nuova città poco distante in un luogo più idoneo e di trasferirne gli abitanti. Il culto della Vergine è intimamente legato alle vicende della chiesa e con essa è sopravvissuto per giungere fino ai nostri giorni. Intorno al 1060 fu commissionato e realizzato il portale e la chiesa fu dotata dell’icona della Vergine con il Bambino. Anche in questo caso, la tradizione va oltre i limiti cronologici accertati: l’icona sarebbe stata donata dall’imperatore Zenone al vescovo Lorenzo a seguito delle apparizioni di San Michele. Per secoli, inoltre, circolò la leggenda, comune per molte immagini della Vergine, secondo cui sarebbe stata dipinta da S. Luca. Di sicuro, però, sappiamo che la sua venerazione fu sempre viva nel corso dei secoli come attestano numerosi documenti e testimonianze. Nonostante devastazioni e saccheggi e nonostante il suo isolamento, l’antica cattedrale di Siponto è stata sempre nelle cure e nell’attenzione dei pastori della diocesi, non per la sua posizione urbanistica, evidentemente, né per la sua funzionalità organizzativa, bensì per la viva partecipazione popolare al culto della Madonna, che non può vedersi disgiunto da quello per S. Michele, sin dalle origini del santuario garganico. Da Leandro Alberti, che la visitò nel 1525, a Gregorovius, che la descrive verso la fine dell’Ottocento, Santa Maria Maggiore ha sempre destato attenzione e meraviglia. Ai primi del ‘500 importanti restauri furono eseguiti dagli arcivescovi Antonio Del Monte e Giovanni Maria Del Monte, il futuro papa Giulio III. Successivamente, anche l’arcivescovo Domenico Ginnasio rivolse le sue cure al consolidamento e all’abbellimento del sacro edificio. Ma, è nel secolo XVII che il culto si intensificò ad opera soprattutto dell’arcivescovo Fr. Dionisio de Robertis, dell’ordine dei Servi di Maria, e, poi, dell’instancabile Fr. Vincenzo Maria Orsini, che fu papa col nome di Benedetto XIII, il quale, oltre a restaurare la chiesa, la riconsacrò il 23 giugno 1675. L’immagine della Madonna, su legno di cedro, è quella classica delle icone ispirate alla tradizione orientale: la Vergine regge con il braccio sinistro il Bambino mentre questo esibisce il rotolo della Parola Di Dio. Ma l’icona non è l’unica immagine della Vergine presente nella cattedrale di Siponto. Fino a non molto tempo fa era conservata nella cripta della basilica una statua straordinaria. Alfredo Petrucci dice che quando la vide, nel 1927, era “abbandonata e ricoperta di polvere” come una “mendica”. Era chiamata dalla devozione del popolo la “Sipontina”; seduta in trono con il Bambino benedicente sulle ginocchia; con gli occhi allargati in atteggiamento di doloroso stupore, e il mento coperto di strane macchie biancastre. La fantasia dello scrittore la chiamò subito la “Madonna dagli occhi sbarrati”; ma lo studioso non si fermò alle sensazioni; volle chiedersi perché la Madonna avesse quello sguardo così inquieto e sofferente. Il Petrucci collegò lo sguardo della Vergine Madre di Dio e degli uomini ad una leggenda narratagli qualche tempo prima da un vecchio popolano. Tanto, tanto tempo fa una giovinetta era stata violentata da un parente del vescovo dell’epoca proprio davanti all’immagine della Madonna la quale “dal momento in cui fu consumata la nefandezza inaudita, si trasfigurò: i suoi occhi, già dolci e suadenti, furon visti diventare ogni giorno più grandi e finalmente restarono sbarrati come due finestre su una notte di procella”. Anche la scomparsa di Siponto è collegata a questa leggenda. La sventurata ragazza cercò la morte fra le onde, ma il mare, misericordioso, la riportò a terra. Le sue lacrime disperate si raccolsero originando il lago Salso il quale, a sua volta, determinò lo sviluppo delle paludi che saranno la causa della fine di Siponto. La narrazione del popolano di Manfredonia riporta il pensiero a Catella, figlia di Evangelio, diacono della chiesa sipontina, stuprata dal depravato nipote del vescovo Felice. La vicenda è nota dalle lettere che S. Gregorio Magno inviò alla fine del sec. VI al suddiacono Pietro, al notaio Pantaleone e allo stesso vescovo Felice perché l’autore del delitto fosse punito e la sventurata Catella avesse giustizia. La leggenda prosegue dicendo che le macchie bianche sul mento della statua sono il resto del vomito prodotto dalla Vergine a causa del mare grosso durante la traversata da Costantinopoli a Siponto. La “Sipontina”, secondo quanto riferisce Serafino Montorio nel suo Zodiaco di Maria, fu rapita durante il sacco dei Turchi del 1620 ed in tale occasione due dita della mano furono recise. Ma, la Vergine, con materna premura “da se stessa tornossene à quelle spiaggie; e perché fosse assai più chiaramente conosciuta la sua protezione, e perciò con più fervore venerata, non posossi nella propria Chiesa, ma trà giunchi delle vicine paludi” . Ma se la “Sipontina” consentì a mani infedeli comunque di rimuoverla dal suo luogo, la stessa cosa impedì che facessero mani cristiane e quando i cittadini di Manfredonia, in un’epoca imprecisata, è ancora il Montorio che racconta, tentarono di trasportarla nella città, per imperscrutabile volere divino, “svegliossi nell’aria sì furiosa tempesta di grandini, pioggia, lampi, tuoni, e saette, che parea volesse inabissarsi il Mondo; perlocché spaventati cessarono da tale attentato”. Sempre secondo il Montorio, i guardiani di pecore, capre ed altri animali godono di una speciale protezione da parte della Madonna, tanto che a Lei offrono “le primizie de’ loro armenti”. Il sacro tavolo, invece, veniva prelevato per essere portato in processione fino al duomo di Manfredonia in occasione di calamità e avversità. Man mano questa pratica processionale si ripeté in una data fissa fino a trasformarsi in una vera e propria ricorrenza e festa patronale “con rito doppio di prima classe con l’ottava”. Secondo alcuni, la festa che tuttora si svolge ebbe origine tra il 1840 e il 1841 dopo un’epidemia colerica e a partire dal 1849 fu spostata da settembre al 30 agosto. Nel 1872, durante la festa, il sacro tavolo subì gravi danni per un incendio; fu poi restaurato a Roma nel 1927 e il 28 agosto 1955 il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Giovanni XXIII il papa buono, incoronò in piazza Duomo la Madonna e il Bambino, mentre era arcivescovo Andrea Cesarano. Come già accennato, il pellegrinaggio alla Madonna di Siponto era praticamente una tappa di quello che si concludeva alla grotta di San Michele. Gli interventi miracolosi della Vergine sono confermati da numerosi attestati di vescovi ma, soprattutto, dagli ex voto. L’intervento salvifico della Madonna viene registrato nei casi più disparati ma quelli che riguardano naufragi e annegamenti sono i più numerosi e fanno comprendere come il Santuario di Santa Maria Maggiore a Siponto sia uno dei più importanti punti di riferimento della fede e della devozione della gente di mare, insieme alla Madonna della Libera a Rodi Garganico.