Al pellegrino che arrivava sul Monte Aquilone in cima alla salita di Santa Lucia, dopo aver attraversato la pianura arsa e deserta, le cupole di San Leonardo dovevano apparire come un’oasi di refrigerio. Intorno a San Leonardo confluivano i pellegrini provenienti dalle regioni tirreniche i quali, attraversato il Vallo di Bovino e le sconfinate pianure del Tavoliere, giungevano alle radici del Gargano. Arrivavano anche quelli che, provenienti dalle regioni adriatiche, preferivano accostarsi al Gargano dalla parte di Siponto seguendo la strada pedemontana che da Civitate tagliava per la pianura lungo i contrafforti meridionali del promontorio. Nient’altro giustifica l’esistenza di un complesso così imponente e bello al di fuori della strada che lo costeggia, percorsa da genti diverse provenienti dalle contrade più lontane, tutte dirette verso l’antro posto in cima al Monte Gargano dove alla fine del sec. V era apparso l’Arcangelo San Michele. Il nome più comune con quale il complesso viene identificato è “San Leonardo di Siponto“; molti documenti, tuttavia, usano “S. Leonardo alle Matine” preferito dai pellegrini provenienti dal settentrione i quali arrivavano a S. Leonardo dopo aver attraversato le Matine di Rignano Garganico e le Matine di S. Giovanni Rotondo. Le “Matine” sono i terreni posti immediatamente alla radice della montagna in leggero declivio e il posizione soleggiata. Fu molto usata anche la denominazione di “S. Leonardo in Lama Volara”; questo nome deriva dalla valle, o lama, Volaria verso la quale dolcemente declina la collinetta su cui è posto il santuario, chiamata così fin dal XII secolo dai Normanni per via dei numerosi ladri, voleurs in francese, che infestavano la zona. La storia pone nel XII secolo la fondazione del monastero e della chiesa di San Leonardo. E’ il tempo in cui si completa l’espansione normanna nel sud d’Italia. I nuovi popoli contendono ai Bizantini e ai Saraceni le fertili plaghe della Puglia e della Sicilia e pongono le basi di una diversa configurazione politica e sociale in cui la presenza dei popoli che vivono al di là delle Alpi diventerà duratura e stabile. La storia del santuario di San Leonardo porta con sé, fin dalla sua fondazione, tutta la complessa vicenda delle successive straniere dominazioni dell’Italia meridionale. In essa è contenuta anche tutta la forza unificatrice della religione che attraverso la devozione a San Michele e l’esercizio della solidarietà verso i bisognosi, ha contribuito non poco a formare di tante stirpi un popolo solo. Con l’arrivo dei Normanni, anche i percorsi devoti si erano affollati di genti straniere. La presenza dei pellegrini d’oltralpe si era maggiormente intensificata con le Crociate. Insieme a loro era cresciuto tutto un sistema di accoglienza e di assistenza che soddisfaceva i bisogni spirituali e quelli materiali. Il santuario di San Leonardo fu tenuto a battesimo dal Canonici Regolari di Sant’Agostino, probabilmente provenienti, al seguito dei Normanni, dal monastero francese di San Leonardo presso Limoges. Loro compito, nella nuova realtà pugliese, era quello che già svolgevano sia nel monastero di Limoges, sia al Passo di San Bernardo ai confini della Svizzera: accudire i pellegrini di passaggio. Uno dei documenti più antichi riguardante San Leonardo lo colloca “iuxta stratam peregrinorum inter Sipontum et Candelarium“. Attraverso i Canonici Regolari di Sant’Agostino il culto per San Leonardo di Noblac, amico e discepolo di San Remigio, venerato come liberatore dei prigionieri e degli schiavi, approdava nella Capitanata e ben presto la bellissima chiesa eretta in suo onore divenne centro di diffusione del suo culto in tutta l’Italia Meridionale, soprattutto durante i secoli delle Crociate. Molti combattenti e pellegrini, infatti, finiti prigionieri dei Saraceni, ricorrevano con fede al santo. Questo patrocinio fu sempre molto vivo nella coscienza religiosa dei fedeli, e anche in tempi moderni intorno alle statue di San Leonardo vengono appese catene e ceppi portati come ex voto. Nel 1525 Leandro Alberti, che qualche anno prima aveva visitato il santuario, raccontava di aver visto “grandi raunamenti di ferramenti di diverse maniere, siccome cathene, boche, colari et altre simili generationi di ferramenti (da tenere prigioni et cathenati gli huomini) da li quali sono stati liberati miracolosamente le persone per li meriti, et prieghi di detto glorioso Santo Leonardo et etiandio istratti dalle carceri tanto de li christiani quanto de li infedeli et anche dalle Galee, et poi quivi portati in memoria della miracolosa liberatione“. Il primo secolo della vita del santuario fu fervido di attività religiosa ed edilizia. I pellegrini crescevano e per loro fu costruito un grande ospizio. Anche il bellissimo tempio romanico fu eretto in quell’epoca. Lo stupendo portale della facciata settentrionale, che tanto rappresenta nella storia dell’arte e della devozione della Capitanata, fu fatto tenendo presenti molti elementi importati dalla patria di San Leonardo e dei Canonici fondatori: la Francia. Il santuario, per i servizi resi ai pellegrini fu dai re Normanni ripieno di benefici materiali, mentre i papi non mancarono di arricchirlo di privilegi spirituali. Tra i benefizi ottenuti si ricorda l’esenzione dalla giurisdizione dei vescovi e la soggezione del santuario direttamente alla Sede Apostolica. Anche i re della casa di Svevia, Enrico VI e suo figlio Federico II, eredi dei Normanni, furono larghi di favori verso il santuario. Federico II fu tuttavia indirettamente causa della decadenza del santuario. Le sue truppe saracene, acquartierate a Lucera, non sempre controllabili da parte delle autorità imperiali, con le frequenti scorrerie rendevano la vita difficile a molte popolazioni della Capitanata. Il territorio appartenente a San Leonardo era stato particolarmente preso di mira sì che le derrate prodotte erano sistematicamente rapinate e le strade erano insicure. Le condizioni economiche del santuario calarono vertiginosamente. I Canonici, ormai ridotti a sette, dopo la morte del loro Priore, chiesero l’intervento del Papa. Dopo una rapida inchiesta condotta da Risando vescovo di Melfi e da frate Eustasio, Priore dei Domenicani di Barletta, col beneplacito dell’Imperatore Federico II, il Papa nel 1260 affidò il monastero ai Frati Teutonici dell’Ospedale di S. Maria in Gerusalemme. I Frati, conosciuti col nome di Cavalieri Teutonici, alla metà del sec. XIV, data la maggior ricchezza della nuova casa e la sua migliore posizione rispetto ai flussi di pellegrini che arrivavano o transitavano per la Puglia, trasferirono da Barletta a San Leonardo la loro casa principale di Puglia, la Bagliva. I Cavalieri Teutonici zelarono il culto di San Leonardo il cui tempio alla fine del sec. XIV, come dice un anonimo cronista dell’epoca “era tenuto in grandissima stima da tutti gli Italiani”. Con il culto crescevano anche i pellegrinaggi e gli ex voto. Pietrantonio Rosso ricorda come “Ferdinando d’Aragona essendo principe di Altamura, cascò da cavallo e fece voto di visitare la chiesa di San Leonardo alle Matine”. Nello stesso secolo ad opera del precettore Giovanni di Argentina (Strasburgo), il complesso dell’ospizio fu interamente rinnovato e ingrandito. Sia gli Angioini che gli Aragonesi colmarono di favori il santuario di San Leonardo, il quale ebbe nuove proprietà e molte grancie, o case filiali, sparse per tutta la Capitanata e anche in altre province. Verso la fine del sec. XIV ci fu la grande crisi dell’Ordine Teutonico. Alla potenza politica e militare che aveva portato l’Ordine ad impadronirsi di intere regioni dell’Europa centro-orientale, faceva riscontro una vita religiosa molto rilassata, con una disciplina conventuale languente e priva di spirito religioso. A ciò si aggiunga, per quanto riguarda la Bagliva di Puglia, una particolare crisi di rapporti interni, accompagnata da grave dissesto economico derivante sostanzialmente dallo stato di confusione in cui versava il Regno di Napoli. Per quasi tutto il sec. XV il santuario di San Leonardo si dibatté in enormi difficolta derivanti da uno stato economico disastrato e da liti interne. Durante questo secolo il santuario perdette la sua autonomia e divenne un beneficio concistoriale affidato a un Abate Commendatario. L’ultimo personaggio dell’Ordine dei Teutonici che si occupò di San Leonardo fu Stefano Grübe vescovo di Troia. Durante la sua direzione gli abitanti di Troia ebbero il privilegio di partecipare alla festa dell’Ascensione che si celebrava solennemente a San Leonardo costituiti in squadra paramilitare con bandiere e tamburi. Questa usanza fu tenuta in auge per diversi secoli. Il Grübe terminò il suo mandato nel 1482 quando fu eletto Arcivescovo di Riga. Partito il Grübe, si aprì per San Leonardo un periodo molto confuso caratterizzato dal tentativo dei vari Abati Commendatari di recuperare quelle parti del patrimonio abbaziale che erano state usurpate. Agli inizi del sec. XVI la saggia amministrazione degli Abati Commendatari Nicolò e Taddeo Gaddi, fiorentini, rispettivamente vescovo di Fermo e Cardinale del titolo di San Teodoro, portò il patrimonio della vecchia abbazia a livelli mai visti prima. Quando, nel 1557, il re Filippo II ebbe bisogno di denaro per finanziare la sua guerra contro la Francia, San Leonardo di Siponto fu costretto a sborsare 888 ducati che “fu il massimo tra quelli versati da ciascuna delle altre chiese, abazie e benefici”, mentre l’abbazia di San Giovanni in Lamis, attualmente convento di San Matteo, ne versò solo centoundici. Così ricorda Don Silvestro Mastrobuoni nella sua monografia su San Leonardo. L’Ughelli, nella sua opera Italia Sacra, classifica questa abbazia come la più ricca d’Italia, riconoscendole un reddito annuo di ben ventimila fiorini d’oro. Nel 1560, per soli cinque mesi, fu Abate Commendatario di San Leonardo anche S. Carlo Borromeo. Durante gli ultimi anni del sec. XVI e i primi decenni del XVII furono Abati Commendatari diversi personaggi della potente famiglia Gaetani i quali si distinsero per la saggia amministrazione dei beni dell’abbazia. Questa famiglia colse con prontezza la spinta delle nuove esigenze religiose e sociali operanti intorno a San Leonardo e favorì una robusta opera di riconversione delle sue strutture di accoglienza affidandole a un ordine religioso, i Frati Minori Osservanti, dotato della duttilità necessaria a cogliere i nuovi fermenti pur nella fedeltà al primigenio spirito religioso che caratterizzava il santuario. Tra la fine del sec. XV e durante buona parte del XVI le continue guerre a cui era stato sottoposto il Regno di Napoli avevano reso poco sicuri i percorsi. Le comitive devote erano diminuite notevolmente. Nel frattempo intorno alla zona di San Leonardo si era sviluppato un nuovo flusso di forestieri legato non tanto ad interessi religiosi, quanto economici. San Leonardo era diventato uno dei punti più intensamente colonizzato dai pastori abruzzesi con le loro greggi transumanti. Costoro occupavano quasi tutta l’area da settembre a maggio. I Frati, giunti a San Leonardo nei primi decenni del sec. XVII, si dedicarono all’apostolato fra i pastori. Le frequenti visite e le questue ad opera dei fratelli laici portavano fra i devoti abruzzesi il profumo della Parola di Dio; la tradizionale festa dell’Ascensione, voluta come festa propria del Santuario dall’imperatore Federico II, fu celebrata con grande solennità e arricchita di un grande mercato; l’antico ospizio dei pellegrini, infine, venne ristrutturato per servire da ospedale per i pastori abruzzesi e per i pellegrini che, sebbene in numero ridotto, continuavano a scorrere per la vecchia strada; le rendite del beneficio furono in gran parte devolute per le spese dell’ospedale. Il rapporto dei Frati Minori con l’abbazia di San Leonardo era di puro servizio: custodivano la chiesa, accoglievano i pellegrini, facevano opera pastorale fra i pastori abruzzesi, conducevano l’ospedale. In cambio l’Abate Commendatario assicurava loro vitto e alloggio. Alla fine del sec. XVIII l’abbazia venne dichiarata di regio patronato e integrata nei beni demaniali. Nel primo decennio del nuovo secolo i Frati furono estromessi da S. Leonardo dalle leggi eversive volute dal regime di Gioacchino Murat. L’ospedale venne soppresso. Le rendite dei territori abbaziali, divenuti demaniali, furono devolute al nuovo Ospedale costruito in Foggia, affidato alle cure dei Frati di San Giovanni di Dio, i Fatebenefratelli. L’antico monastero venne abbandonato, e ben presto si videro i segni della decadenza. Nel 1821 il priore dei Fatebenefratelli di Foggia, fra Baldassarre Vitelli, fece portare a Foggia venticinque carrette cariche di porte, finestre, embrici e tavole divelte dall’edificio di san Leonardo per servire al nuovo ospedale. Nel 1874 il Gregorovius vide l’antica abbazia e pianse la sua gloria. Sulle mura della chiesa si notavano ancora, benché sbiaditi, gli stemmi dei Cavalieri Teutonici che l’avevano custodia ma la rovina era grande. “Ora San Leonardo è diventato centro di una fattoria e non è abitato che da pecorai”, lasciò scritto. Per oltre un secolo San Leonardo fu rifugio di pecorai e di ladri; la sua sacralità fu violata e infamata mille volte; le sue volte decorate e i portali diedero rifugio a viandanti e animali randagi, nidi di uccelli e sciami d’api. Tale lo vide Riccardo Bacchelli il quale a lungo rimase attonito dinanzi a quella porta “cieca che al tempo delle crociate fu aperta a monaci, a dottori, a cavalieri, a dame e a re di corona”. Quanto era sopravvissuto rischiò di essere spianato nel 1945 quando l’autorità militare decise di far brillare le bombe abbandonate nelle vicinanze dalle forze armate che si erano succedute durante la guerra. Per fortuna intervennero le Belle Arti e furono salvati la chiesa e l’ospedale. Dal 1950 la chiesa è nuovamente aperta al culto. Come da antica tradizione si celebra solennemente la festa dell’Ascensione.