Sulla fondazione del santuario di Pulsano abbiamo maggiori notizie che per altri santuari. Esso, infatti, è frutto dell’opera di San Giovanni da Matera, della cui “Vita” si conoscono diverse versioni. Nato a Matera verso il 1070, giovanissimo iniziò la sua ricerca ed il suo cammino spirituale a contatto con i monaci Basiliani e, successivamente, in maniera personale, vivendo per lunghi periodi in assoluta solitudine. Fu a Taranto, in Calabria ed anche in Sicilia. Si stabilì poi a Ginosa e, accusato ingiustamente ed incarcerato, riuscì ad evadere per riprendere di nuovo la sua vita di pellegrino. Durante le sue peregrinazioni, incontrò San Guglielmo da Vercelli sul monte Laceno e con lui condivise ideali e pratica religiosa. Animato e incoraggiato dalla fraterna amicizia del fondatore di Montevergine, si mise in viaggio per la Terra Santa ma, da Bari, ritornò indietro per recarsi sul Gargano a visitare la grotta dell’Arcangelo San Michele, dove gli apparve la Madre di Dio per indicargli il luogo in cui la sua missione doveva essere portata a compimento e, cioè, il luogo dove poi sorgerà l’abbazia, a circa otto chilometri da Monte Sant’Angelo, su di un balzo che domina la sottostante pianura ed il Golfo di Manfredonia. Alcune tradizioni vogliono che in quel luogo esistesse già un monastero edificato dal duca Tulliano di Siponto con le rendite dei genitori, che erano ricchi patrizi romani, intitolato a San Gregorio Magno, e appartenente a un non ben identificato ordine di S. Equizio o degli Equizi che, per etimologia, rimanderebbe a una sorta di ordine cavalleresco. Anche sulla derivazione del nome, le leggende sono discordanti: c’è chi vuole l’importazione del nome da una località vicino Taranto, chiamata appunto Pulsano, dove San Giovanni ha soggiornato, e c’è chi fa derivare il nome dal fatto che la Vergine avrebbe guarito il Santo, febbricitante, prendendogli il polso, per cui da polso sano si sarebbe giunti a Pulsano. Quest’ultimo è il significato che si trova nei racconti leggendari e nei canti dei pellegrini. Di certo sappiamo che, a partire dal 1129, attorno a Giovanni da Matera, nella località ora detta, vi erano sei discepoli che nel giro di pochi mesi diventarono sessanta. Costoro ben presto costruirono un grande monastero. Nei dintorni, e specialmente nel Vallone dei romitori i monaci costruirono molte piccole abitazioni abbarbicate sulle aspre pareti della montagna dove trascorrevano lunghi periodi di solitudine assoluta nella preghiera e nella contemplazione. La comunità aveva assunto la Regola di San Benedetto ma si dedicava anche a un’attiva vita apostolica tra i contadini e soprattutto tra i pellegrini provenienti dalla Grotta di San Michele e diretti al santuario di San Leonardo a Siponto. Ben presto si diffuse la fama di questa comunità, grazie anche agli abati, come Giordano e Gioele, che continuarono l’opera del fondatore, fino al punto che essa diventò il primo nucleo di un vero e proprio ordine monastico, la Congregazione benedettina dei Pulsanesi. La nuova Congregazione ebbe case fin nella Toscana, come San Michele di Guamo presso Lucca e San Michele in Orticara presso Pisa, e nella pianura padana, come Quartazzola sul Trebbia presso Piacenza. Della Congregazione Pulsanese facevano parta anche case femminili come il monastero di Santa Cecilia a Foggia. Giovanni da Matera morì a Foggia, nel monastero pulsanese di San Giacomo, il 20 giugno 1139. Il suo corpo fu posto sotto l’altare maggiore del monastero di Pulsano e, nel 1830, trasferito nella cattedrale di Matera. Nel 1177, Alessandro III consacrò la chiesa del monastero e da Vieste il 9 febbraio dello stesso anno emanò una bolla a favore dei monaci pulsanesi. Pulsano, quindi, è estremamente importante per la storia religiosa del Mezzogiorno d’Italia e rappresenta l’unico caso di congregazione religiosa sorta in Capitanata, nata, come quella dei Verginiani di Montevergine, nel solco di San Benedetto. Come accennato, la leggenda di fondazione del santuario, in questo caso, si intreccia con eventi storicamente documentabili. Le devote visite che i pellegrini facevano alla Madonna di Pulsano per sette sabati consecutivi durante la quaresima sono da mettere in relazione con i sette giorni in cui la chiesa, addossata alla grotta naturale che funge da abside, secondo la leggenda fu costruita. Il quadro della Madonna di Pulsano, purtroppo, è stato rubato nel 1966, così come è stata trafugata buona parte dell’arredo sacro e numerosi elementi scultorei ed architettonici del complesso abbaziale che è sicuramente una delle più importanti espressioni del romanico pugliese. Il dipinto, secondo alcuni studiosi, apparterrebbe alla scuola cosiddetta dei Ritardatari, fiorente in Puglia e Basilicata tra XII e XIII secolo. L’immagine riecheggia le icone bizantine con il volto scuro della Madonna leggermente inclinato, il capo coperto e l’aureola dorata; il bambino è rivolto verso chi osserva e, nel complesso, l’effigie richiama la Madonna di Siponto e la Madonna di Ripalta. Già a partire dal XIII secolo, il monastero entrò in una fase di decadenza. Il suo ultimo abate fu un certo frate Antonio eletto nel 1379. Costui pare che si fosse schierato con l’antipapa Clemente VII il quale aveva dato inizio al grande scisma di Occidente. Il legittimo pontefice Urbano VI, pertanto, pur non destituendolo, ne ridusse il potere sottraendo alla sua giurisdizione il benefizio abbaziale e affidandolo a un Abate Commendatario. Alla morte dell’abate Antonio gli edifici, già provati da terremoti e minati dall’abbandono, subiranno gravi danni, nonostante generosi tentativi di restauro. Tra il Settecento e l’Ottocento il monastero ricevette le cure dei Celestini, i quali lo abbandonarono quando, agli inizi del secolo XIX, furono soppressi dal governo di Gioacchino Murat. In questo frangente il vescovo di Matera organizzò la traslazione del corpo del Beato Giovanni nella cattedrale di quella diocesi. Partiti i Celestini, la chiesa fu affidata a dei cappellani. Uno di questo, Nicola Bisceglia nel 1842 la acquistò con le sue pertinenze. Di recente è ritornata ad essere proprietà della diocesi di Manfredonia. Nonostante le vicissitudini dell’abbazia, il culto della Vergine venne tenuto in vita da diversi ordini monastici, Carmelitani, Francescani, Domenicani, fino a giungere ai nostri giorni, come ci documenta, tra gli altri, nel nostro secolo, Giovanni Tancredi. Raffaele Petruzzi nel suo Il pellegrino lucano ai più celebri santuari d’Italia del 1882 parla del “Santuario di Pulsano, ove a pie’ scalzi nei sette sabati della quaresima divota gente recasi lassù a visitar Maria“. Lo stesso autore, poi, ci parla di una tradizione che vuole conservata presso Pulsano una delle monete che Giuda ebbe in compenso per il tradimento del suo Maestro. E questa tradizione è attestata anche da Pompeo Sarnelli e da Serafino Montorio, che hanno scritto tra XVII e XVIII secolo, ad ulteriore conferma della persistenza nel tempo della devozione e dei pellegrinaggi in questo selvaggio angolo di Gargano. Nonostante il degrado e l’abbandono, il santuario di Pulsano continua ad essere considerato uno dei più venerabili luoghi della Capitanata dedicati alla Vergine Madre di Dio.