UN PAESAGGIO SEGNATO DALL’UOMO
E’ quello sammarchese, un territorio strettamente legato alla presenza dell’uomo, il cui lavoro ha da sempre segnato le forme e le linee del paesaggio. E se in molte circostanze tali trasformazioni sono risultate decise (si pensi solamente alla distruzione di gran parte del manto forestale che ha interessato quasi tutti i versanti meridionali), in altre sono state meno traumatiche ed i segni, propri del mondo agrario, si sono felicemente inseriti in quello naturale, costituendo un unicum armonioso e funzionale da un punto di vista ecologico, economico e paesaggistico. Così è stato per i mandorleti che, diffusi un po’ dovunque, si ritrovano a valorizzare zone molto degradate, con suoli poco profondi e ricchi di scheletro; così per quelle opere di sistemazione delle pendici realizzate dai contadini: veri e propri esempi di ingegneria idraulica in grado di stupire, per concezione e tecnica, i più scaltri progettisti moderni; mirabili a tal riguardo quelle realizzate lungo la Valle dell’Arciprete.Qui, più di altre parti, la mancanza di aree coltivabili ha portato ad una intensa opera di spietramento.
Una ininterrotta trama di muretti a secco, testimonianza di un’arte ostinata e paziente ma inesorabilmente in declino, delimita e protegge ancor oggi frutteti e seminativi da un pascolo fin troppo invadente. Ma queste, sono immagini che lentamente stanno scomparendo giacchè molti luoghi presentano, purtroppo, inequivocabili e puntuali tracce di abbandono, immersi come sono in un sempre più profondo silenzio interrotto solamente dallo scampanare delle mandrie; anche se si registrano alcune lodevoli eccezioni ad opera di pochi coraggiosi, i quali, sfidando una certa burocrazia, tentano un rilancio delle zone rurali attraverso forme di turismo ecocompatibile.
UN CLIMA SEVERO
In questo severo ambiente la vegetazione, costituita da boscaglie e praterie è quella conseguente la distruzione della primitiva foresta per effetto dei ripetuti incendi e del pascolo esercitato con carichi eccessivi. A questa degradazione si accompagnano un’erosione e un impoverimento del suolo dovuti agli agenti atmosferici che dilavando i sottili strati superficiali mettono a nudo la roccia, tanto che il ripristino dello stadio climax è possibile solo in rari casi e, comunque, sempre con estrema lentezza. Con un totale annuo inferiore ai 400-500 mm, questi versanti sono sempre in ombra d’acqua (si comprende perché in queste zone siano così diffuse le piscine) mentre la media delle temperature massime dei mesi estivi oscilla intorno ai 28-30°C con punte giornaliere che spesso salgono oltre i 40° nei valloni interni. Questo andamento termico è imputabile alla zona di alta pressione, riferibile all’Anticiclone delle Azzorre che, stazionando d’estate nel bacino del Mediterraneo, spinge verso le regioni del centro e nord Europa le aree depressionarie.
Grande importanza riveste lo scirocco: vento che investe tutto il versante meridionale determinando solo rialzi termici poiché l’umidità, dopo che lo stesso ha attraversato il Mediterraneo, è ceduta sotto forma di precipitazioni sui rilievi salentini e le Murge, interessando il Gargano quando ormai è ne privo. In conseguenza di questi fattori, si inscrive un periodo più o meno marcato di aridità estiva, che ha come diretta conseguenza la scomparsa del tappeto erbaceo e l’arresto dell’accrescimento delle piante che poi riprenderà con la caduta delle prime piogge autunnali e il conseguente abbassamento delle temperature.
UN’ESPLOSIONE DI COLORI E DI VITA
A ravvivare con i loro colori nei mesi da Aprile a Giugno questi severi ambienti, sono le spettacolari fioriture dell’Asfodelo mediterraneo (Asphodelus microcarpus) e di una grande ombrellifera, la Ferula comune (Ferula communis): sono piante indicatrici di un forte pascolo la prima e di ripetuti incendi la seconda. Macchie di lentisco, sting(e) per i locali, ad habitus pulvinare tappezzano i versanti volti a mezzogiorno assieme a Pistacia therebinthus e Philirea latifolia, costituendo estese formazioni a loro volta sostituite, nelle zone pianeggianti, da vaste colture di oliveti come nel Calderoso.
La vegetazione forestale, erosa da una secolare pressione antropica, è invece rappresentata da boscaglie di roverella e di leccio che insieme all’orniello allignano lungo le pendici più impervie dei valloni interni spesso consociati a Carpinus orientalis e Celtis australis (Valle di Vituro). Sparuti e contorti alberelli di Pyrus amygdaliformis, immersi in una luce abbagliante, vegetano solitari ai confini dei coltivi. Sono, questi ambienti, il regno del Passero solitario (Monticola solitarius) e del Gheppio (Falco tinniculus), dei biacchi della ssp. Carbonarius (serpe nera) e delle lucertole campestri. Tra le presenze più nobili segnaliamo il Falco pellegrino e il Falco lanario; rarissimo l’incontro con il Gatto selvatico, più sicura la presenza della Faìna.
BOSCHI E DIFESE ADDOMESTICATI DALL’UOMO
La forma colturale più adottata è quella del ceduo matricinato per i privati, essendo questi boschi destinati da sempre alla produzione della sola legna da ardere, per cui soprattutto nella zona del Canalone non è difficile imbattersi in boscaioli intenti a realizzare una carbonaia; siamo invece in presenza di fustaie transitorie, derivate dai tagli di conversione, per i boschi del demanio comunale. Per effetto degli interventi colturali, annotiamo come l’efficienza regimante ed antierosiva del bosco si sia notevolmente accresciuta per la continuità della copertura assicurata dalla fustaia transitoria.
Altre essenze presenti sono il ciavardello, il nocciolo, il sambuco; Populus tremula è confinato negli ambienti più freschi; è presente un piccolo nucleo di Acer Pseudoplatanus in prossimità del Convento di San Matteo, mentre nelle vicinanze di Orto della Menta si segnala l’unica stazione, attualmente conosciuta, di Ilex Aquifolium. Qui, tra il folto delle cime, è possibile ascoltare tanto il tambureggiare del picchio quanto lo stridere della ghiandaia mentre, l’intricato sottobosco, è l’habitat ideale dello scricciolo (Troglodytes troglodytes) e della capinera (Sylvia atricapilla).
Tra i mammiferi segnaliamo il moscardino, il riccio, la donnola, e il sempre più raro tasso (melogna), individuato solamente nelle località Fajarama, in prossimità delle piscine e Stignano, nelle vicinanze del Bosco Jancuglia. Le volpi sono invece diffuse un po’ dovunque. Dove la morfologia si fa più tormentata e le condizioni climatiche più difficili, al cerro si sostituiscono orno-ostrieti e querceti termo-xerofili di roverella con sporadiche presenze di Carpinus orientalis.
A poche centinaia di metri dal convento di San Matteo è presente una piccola zona posta tra i 700 e gli 800 m s.l.m., chiamata Fajarama, in cui alligna il faggio. Si tratta dell’unico nucleo spontaneo presente nel Gargano occidentale e tale presenza, unitamente all’esistenza di emergenze antropiche, conferisce all’area tutta una significativa importanza dal punto di vista naturalistico e storico. La Fajarama è una vallecola in cui un microclima particolare, caratterizzato da un tasso di umidità atmosferica superiore a quello dei versanti circostanti, dominati dalle formazioni di roverella, ha fornito la conservazione di questa specie.
ALLE QUOTE PIU’ ALTE FOLTI BOSCHI
Con l’aumentare della quota, infatti, l’estate si fa meno arida grazie anche alle maggiori precipitazioni che, assommando a circa 900 mm annui, consentono di rimpinguare le riserve idriche del terreno; le migliori condizioni edafiche (siamo a contatto dei suoli classificati come bruno forestali su terra rossa) costituiscono inoltre un ulteriore importante fattore nella distribuzione del faggio. L’analisi della vegetazione evidenzia la presenza di un consorzio misto di latifoglie dove, accanto al faggio, compaiono altre specie nemorali quali Carpinus betulus, Populus tremula, Corylus avellana, Acer neapolitanum, alcuni esemplari di Tylia plathiphillos e naturalmente, Quercus cerris, mentre il piano dominato rivela l’esistenza di elementi sia termofili che igrofili a seconda del grado di copertura delle chiome. Significativa la presenza delle felci, tra le quali le minuscole quanto aggraziate Asplenium trichomanes, Asplenium adiantum-nigrum, Ceterach officinarum e Polypodium interjectum. Tra le specie forestali, coltivate a scopo alimentare, il castagno è quello che vanta la maggiore diffusione. Coltivato per la bontà dei suoi frutti, il castagno dopo un periodo di grave crisi imputabile alla diffusione del cancro corticale, sta vivendo una fase di ripresa in virtù del rinnovato interesse dei mercati per la varietà di maggior pregio, nonché per un significativo miglioramento della situazione fitosanitaria. Distribuito maggiormente nelle zone nord-occidentali, è presente con alcuni esemplari di ragguardevoli dimensioni nelle località Bosco Rosso e Zazzano. Mancano le conifere spontanee; laddove sono presenti, provengono da ripetuti rimboschimenti. Destinati alla produzione legnosa, (cedro e douglasia) e maggiormente alla protezione idrogeologica (pino nero, pino d’Aleppo, cipresso), questi boschetti si rinvengono principalmente in zona Zazzano, S. Loja, Coppa Ferrata, lungo la direttrice che collega Solagna a Monte Nero e sui versanti che sovrastano la Valle di Stignano. Impostata su una estesa faglia transtensiva, la Valle di Stignano è la naturale porta d’ingresso per il visitatore che decida di guadagnare il Gargano passando da ovest. Punteggiata da oliveti e da una miriade di minuscole vigne che producevano fino a ieri, nella zona del Sambuchello, un bianco e frizzante vinello, la Valle di Stignano conserva un fascino particolare che si palesa in tutta la sua bellezza in aprile, quando le bianche fioriture di solitari ciliegi esplodono maestose ad annunciare la primavera e in autunno, allorchè le fronde dei sorbi si tingono di rosso quasi a regalare, idealmente, prima dell’imminente inverno gli ultimi tenui indizi di calore. E’ il termine del nostro viaggio, che partito dai dorati campi di grano si perde tra il folto della foresta, dove ieri sostavano e ancor oggi indugiano le greggi.